Il dibattito su Mondadori visto da un lettore


1. Di cosa si parla

mondadoriDa consumatore, da lettore, da spettatore di cinema e di televisione, come tanti altri (tanti altri che si sentono distanti dalle attuali forze di governo, intendo) mi pongo da tempo il problema se e quanto, sottovalutando l’espansione di Berlusconi nel mercato dei libri e delle immagini, si partecipi ai meccanismi che hanno permesso la penetrazione sua e dei suoi valori nella vita quotidiana degli italiani e di lì nei luoghi del potere politico. Con questa domanda in testa ho cercato di seguire il confronto fra scrittori e intellettuali seguito alla lettera del teologo Vito Mancuso su Repubblica dello scorso 21 agosto.
La questione nasce il 19, quando il vice direttore del quotidiano, Massimo Giannini, accusa Berlusconi dell’ennesima legge su misura, fatta per alleggerire la sua Mondadori da un vecchio gravoso debito col fisco.

Due giorni dopo, sullo stesso giornale, Mancuso (che per Mondadori ha pubblicato, e ha un altro volume in arrivo) apre il dibattito (“Io, autore Mondadori e lo scandalo ad aziendam).
mancuso_324Così descrive il suo dilemma etico (il suo intervento è ripreso anche da Nazione Indiana): “…da un lato il poter far parte di un programma editoriale di prima qualità venendo anche ben retribuito, dall’altro il non voler avere nulla a che fare con chi speculerebbe sugli appoggi politici di cui gode…”. Poi chiama i colleghi autori che pubblicano per la generalista Mondadori e per la più specialistica Einaudi (la gloriosa editrice di letteratura è da tempo proprietà dello stesso gruppo) a condividere il suo problema di coscienza.
Parte anche una campagna (animata da Gianfranco Mascia) che invita gli autori ad abbandonare Mondadori e i lettori a non comprare i suoi libri. (Nelle settimane precedenti, anche attraverso Facebook, alcuni lettori avevano unito le loro voci per chiedere a Roberto Saviano di cambiare editore; Don Gallo annunciava in quei giorni il suo “trasloco”; mesi prima una parte della rete deplorava l’ingresso di Paolo Nori fra le firme di Libero, che non è di Berlusconi ma solo perché quel giorno non aveva spiccioli: ne parla qui la scrittrice Helena Janeczek; per dire il clima nel quale piomba l’appello di Mancuso).

2. Da lettore: gli argomenti che mi convincono e quelli che non mi convincono

Dicevo all’inizio, qui fuori c’è un sacco di gente che da sempre sceglie di non accendere le reti Mediaset e di evitare nei limiti del possibile i prodotti pubblicizzati nei loro programmi, sceglie di non comprare i giornali che fanno capo a quel gruppo e di non fare la spesa alla Standa. In altri campi è più difficile: evitare i film di Medusa significherebbe rinunciare a Virzì, Salvatores e tanti altri; rinunciare ai libri Mondadori e Einaudi vorrebbe dire perderci metà degli scrittori a cui teniamo. Bisogna trovare una via, ma insomma il problema qui ce lo si pone da un bel po’.
Mancuso chiama alla guerra (no, alla crisi di coscienza) i suoi colleghi per l’ennesima legge ad personam dopo (lo dice lui stesso) altre trentasei. Come mai adesso? Non gli piace il trentasette? I numeri primi in generale? Così sceglie una motivazione non proprio inattaccabile (come dimostra Giulio Mozzi su Vibrisse) e per di più talmente particolare, rispetto a una storia interminabile di conflitti e commistioni di interessi, da rimanere impigliata nel sospetto di essere un po’ pretestuosa (lo si vede dal dibattito, per chi ha voglia di cliccare sui link che metto a disposizione un po’ più giù).

Quello che ho capito è che la proposta di Mancuso è sostenuta da quegli autori che hanno già un altro editore, e dunque il problema non se lo pongono, o da quelli che potrebbero cambiarlo nel tempo di un paio di telefonate (come don Gallo o Giorgio Bocca, e forse Mancuso stesso), e che lo zelo di chi la sostiene, ahimé, ha in mente un paese che non è questo: un paese in cui un autore, se trova che il proprio editore non sia in linea coi suoi principi, può decidere di cercare, in un mercato libero e paritario, uno che lo soddisfi di più. Ma dato che quel paese non è questo, ciò che Mancuso propone ai suoi colleghi (anche a quelli con meno potere contrattuale di lui) è di azzerare un percorso professionale anche lungo, e di farlo senza salvagente.

Dopodiché, io non riesco ad avere che una posizione interlocutoria. Diciamo: credo che bisognerebbe evitare di portare benzina alla macchina berlusconiana, ma che qui ed ora certe scelte siano inutilmente autolesioniste, per chi scrive, per chi fa film per chi legge e per chi va al cinema. Ma ho trovato di qua e di là argomenti utili e altri francamente un po’ insopportabili. Ad esempio:

– L’argomento più chiaro in tutta la polemica è alla fine quello usato da Giulio Mozzi: “questo contratto costituisce la mia maggiore fonte di reddito”. Mozzi pubblica gli estremi del bonifico ne “La paga del soldato” e fa il conto di quanto dovrebbe versare di tasca propria se decidesse di far suo lo scrupolo di Mancuso. (Sì, parlare di soldi può essere poco carino: ma mi mette assai meno tristezza del trito “combattere il sistema dall’interno”).
Insomma: qualcuno potrà fare il bel gesto senza conseguenze esiziali; ma per altri significherebbe chiudere la bocca, cioè privare tutti di una voce, e non sarebbe il risultato più entusiasmante.

– Quest’altro l’ho trovato un po’ paraculo ma suggestivo: Einaudi ha una storia nobile che comincia ben prima dell’annessione all’impero berlusconiano; non siamo noi che dovremmo andarcene, è lui l’intruso. Mi convince.

Invece:

– Non mi convince l’argomento “ho trovato un clima stimolate e tanti professionisti con cui si lavora bene”, che di solito viene usato per preferire Mondadori a un editore più piccolo, e stranamente mai viceversa.

– Non mi convince l’argomento “Mondadori, almeno, paga puntualmente” perché mi ricorda troppo quello che diceva che, almeno, i treni arrivavano in orario.

3. Per chi volesse approfondire: il dibattito in rete

Riporto qui gli articoli che ho trovato on line. Se qualche intervento mi è sfuggito, segnalatemelo nei commenti e, se l’argomento vi interessa, non vi fidate delle mie sintesi, puramente indicative: andate a leggervi gli articoli linkati.

A Mancuso risponde sul Corriere della Sera (“A questo punto un po’ di coerenza”) lo scrittore e critico Franco Cordelli. Nazione Indiana, il giorno dopo, riprende l’intervento, ampliato (“Alzare i tacchi”): “…dal momento che non siamo nel campo delle mere opinioni, sarebbe decisamente opportuno smetterla con le chiacchiere e passare ai fatti, cioè alzare i tacchi da Segrate e da Via Biancamano”.

michela-murgia.jpgMa Cordelli con Mondadori non pubblica dal 1990 ed è felicemente accasato altrove. Michela Murgia (che con Einaudi ha pubblicato “Accabadora” con cui ha vinto il Campiello) dice in “La scelta di esserci”: “Einaudi non è solo una casa editrice con una storia in cui umilmente voglio riconoscermi, ma è piena di persone competenti della cui professionalità e umanità non ho alcuna intenzione di privarmi solo perché gli avvocati della famiglia Berlusconi hanno pagato un giudice per appropriarsi di Mondadori” (che però, dico io, è un’altra questione ancora e data ben prima della legge in questione). La Murgia ospita sul suo blog alcune posizioni, fra cui quella di Ferdinando Camon da Avvenire (“Il vero dissenso è restare”), quella di Marcello Fois su La Nuova Sardegna (“Coscienze a orologieria”) e quella da L’Unità di Francesco Piccolo (autore Einaudi ma anche sceneggiatore di Virzì e de “Il Caimano”: “Io invece resto”).

Critico, ma (mi pare) più sul metodo che sul merito, Valter Binaghi (scrittore, consulente editoriale e tante altre cose), che scrive in “Ancora sugli intellettuali”: “Se fossi un autore Mondadori-Einaudi, anzichè fare il Robespierre sui blog alla moda o il problematico sui giornali del gruppo (economico) d’opposizione continuando a ritirare lo stipendio dal Caimano, considererei più morale fare lo scrivente e non lo scrittore, cioè parlare coi miei libri”.

Il collettivo Wu Ming sul proprio sito, nel post del 27 agosto dal titolo paradossale “Boicotta Wu Ming”, nota: “Ci stranisce la sicumera, l’approccio fideistico di chi è sicuro che deprivare l’Einaudi di tutti gli autori che non la pensano come Berlusconi sarebbe un colpo inferto a quest’ultimo etc.”.

Perplesso anche Carlo Lucarelli (27 agosto), in “Che fare?”: “Combattere il sistema dall’interno, quando questo non richiede compromessi è altrettanto utile che farlo dall’esterno, soprattutto se un sistema così invasivo come quello che stiamo vivendo in Italia lascia pochissimi spazi al di fuori di se stesso.”

Il 29 agosto Giulio Mozzi (“Ho pubblicato cinque libri con Einaudi e due con Mondadori; con quest’ultima ho un contratto per un terzo libro. Ho un contratto di consulenza con Einaudi Stile libero. L’attuale discussione sull’opportunità di pubblicare con / lavorare per Mondadori o società da essa controllate, quindi, mi riguarda…”), in “Mondadori, le tasse e la leggina ad hoc” sul suo blog, affronta la questione da un punto di vista diverso e fa le pulci all’articolo di Giannini: ricostruisce la vicenda della somma dovuta da Mondadori e decostruisce l’analisi di Repubblica per dimostrarne la faziosità (ma dovete leggerlo perché è complessissimo). Dal blog di Giulio Mozzi scopro il post di Giulia Blasi, che scrive per parecchie riviste ed è approdata a Einaudi (“Chi fa la rivoluzione”): “fate di più leggendo e facendo leggere gli altri che invitando a boicottare gli scrittori”.

Qualche giorno dopo Federica Sgaggio, che ha pubblicato per Sironi e che è giornalista, in “crisi dei giornalisti: c’è qualcuno là fuori?”, nota come lo stato del giornalismo sia cruciale per la democrazia ben più delle scelte degli scrittori e che “meno «influente» è la crisi di coscienza per lo stato del Paese, più i giornali ne parlano”.

Su “Il primo amore” interviene Antonio Moresco, in “Pensieri a cranio scoperchiato” (ripreso da Giulio Mozzi), definisce quelli di Mancuso “argomenti moralmente e politicamente ricattatori, ironie e sfottimenti in caso di risposte non gradite o evasive, esibizione di superiorità civile e morale, soprattutto da parte di giornali di gruppi editoriali concorrenti e di persone bene acquartierate in essi”. A Moresco risponde Giuseppe Caliceti (“Che fare?”), al quale risponde Tiziano Scarpa (che scrive per Einaudi: ricordate questo post?) con “La rava e la fava”: “Chi dice “cambiate editore”, non sempre si accorge che alcuni di noi l’hanno già fatto. Ci abbiamo già provato, a cambiarlo. A me, per esempio, in una casa editrice che non fa parte del gruppo Mondadori è stato chiesto di togliere alcuni brani di un mio libro, esercitando un diritto di veto (lo chiamo a ragion veduta “veto”, non “censura”, per precisione linguistica e aderenza ai fatti) che non mi è mai capitato di patire in Einaudi. In altre case editrici mi sono sentito un po’ un episodio. (…) Le case editrici non sono tipografi, sono imprese culturali, con una linea e un’adesione artistica alle proposte degli autori”.

Evelina Santangelo (di Nazione Indiana e insieme editor Einaudi) scrive nelle sue “Dichiarazioni di una collaborazionista”: “Io oggi non me ne vado perché una casa editrice è tutto quel che ha costruito in tutta la sua vita editoriale, e nei cataloghi Einaudi ci sono autori i cui nomi e le cui opere sono di gran lunga più significativi, per la storia passata e presente di questo paese, di chi oggi la possiede”. Tornerà sull’argomento ne “Il fatto quotidiano” l’1 settembre: ecco l’articolo sul suo sito.
Su Nazione Indiana ho trovato Andrea Cortellessa, che in “Pubblicare per Mondadori?”, scrive “…si sacrificherebbero, sì (e nobilmente, certo), i propri interessi personali ma anche (e per quel che riguarda noi lettori soprattutto) gli interessi della collettività: 1) perché i politicamente e artisticamente difformi verrebbero ridotta la propria circolazione 2) perché, di contro, i politicamente e artisticamente conformi la vedrebbero accresciuta 3) perché aumenterebbe ulteriormente il volume di fuoco della propaganda berlusconiana”. Dopo di lui Stefano Petrocchi (“ad aziendam”) difende la ragioni di chi sceglie di lasciare Mondadori (“…ho la sensazione di assistere a un paradossale tentativo di sottrarsi al rapporto fondante con i propri lettori in carne e ossa. Non più interlocutori privilegiati dell’autore per il tramite dell’editore, ma utilizzatori finali di un prodotto…”). Sulla stessa linea Beppe Sebaste (“General Escort Intellect”): “Mi ha angosciato che Berlusconi venga considerato una specie di macchietta, un’innocua maschera italiana, qualcuno da cui è facile o anche solo possibile non farsi condizionare o censurare”.

11 risposte a "Il dibattito su Mondadori visto da un lettore"

  1. Ciao Massimo, grazie per la citazione ma soprattutto per il modo articolato e intelligente con cui hai assemblato le diverse voci sulla questione.
    Guardando la foto mi vien l’idea che ci siamo conosciuti in giro parecchio tempo fa, ma probabilmente è un abbaglio, giusto?

  2. Ciao Valter, grazie di essere intervenuto. Il fatto che la mia ricostruzione ti sembri plausibile mi conforta.
    Sai che, dalla tua biografia, il sospetto che abbiamo per lo meno qualche conoscenza comune mi viene?

  3. Grazie, Massimo.
    Questa cosa che delle crisi di coscienza dei giornalisti nessuno si occupa – nemmeno noi, che continuiamo a stare male, malissimo, schiacciati nei/dai giornali che non ce ne lasciano parlare e dagli organismi di categoria che adottano simile comportamento – mi tormenta.
    Eppure, veramente: chi c’è di più centrale di noi, purtroppo, nel determinare la temperatura civile e politica della comunità?
    Dico «noi» non individualmente presi, naturalmente.

    Anch’io trovo stucchevole la litania di «alla Mondadori sono fantastici professionisti, e dunque resto».
    Anch’io penso che il boicottaggio abbia poco senso.
    Ma sono assai poco convinta che tutta questo dibattito abbia senso.
    Concordo con Valter: chi si sente la coscienza in crisi, pubblichi e stop.

  4. Io ho trovato “onesta” la posizione di Mancuso. Credo che tutti gli autori di Mondadori possano trovare un altro ottimo editore, non solo alcuni. E comunque, mi sembra che, alla fine, la questione sia una sola. Detta o non detta. E cioè che la Mondadori garantisce più visibilità, più diritti d’autore, più “titoli” (nei due sensi, di più spazio nei media e di più prestigio) di qualunque altra casa editrice. Siccome non è facile arrivare a pubblicare con Mondadori, capisco che sia difficile rinunciare a questa posizione in nome di principi o coerenze che non trovano molti estimatori in questo nostro paese amorale.
    Sbaglierò, ma la colpa di Mancuso è proprio questa, di aver mostrato che in Italia non c’è goccia che faccia traboccare il vaso. Semplicemente perché il vaso è rotto.

  5. @ Valter: dalla fine dei 70 (ma proprio gli sgoccioli!) fino a tutti gli 80 il mio mondo è stato soprattutto la radio, frequentavo concerti e riviste musicali ma a quei tempi orbitavo intorno a Roma. Al nord sono arrivato nel ’90. Dunque se c’è un link non è lì!

    @ Federica: il tuo allargamento delle prospettiva mi ha fatto pensare che la faccenda è più complessa che “stiamo dentro o stiamo fuori”.
    Il tuo lavoro continuo di analisi e decostruzione di articoli di giornale (come nel tuo articolo che stamattina condividevo su Facebook) è interessante per capire come la povertà dei tempi che viviamo abbia abbassato l’asticella di praticamente tutto. “Dentro” o “fuori”, “bbuono” o “no bbuono”, come Andy Luotto a L’Altra Domenica, sono i termini in cui si può discutere.
    Oh: io lo so chi, per me, sono i “cattivi” (ho qualche dubbio sui “buoni”, ma i “cattivi” li riconosco). Però quando devo distinguere “utile” e “meno utile”, la faccenda si complica. E questo mi porta a…

    …@ Fabio: anch’io penso che la posizione di Mancuso sia onesta. Penso allo stesso tempo che sia ingenua.
    Nella ramificazione su Facebook del dibattito sul mio post, raccontavo che anni fa su Cuore uscì un articolo che diceva “boicottare Berlusconi si può”. Basta non fare la spesa lì, non comprare questo, non comprare quello, non accendere quella rete, non leggere quel giornale.
    Bene. Col cuore gonfio di orgoglio progressista, mi andai a noleggiare un film di Salvatores: era distribuito da Medusa!
    Allora scrissi a Cuore: come si fa a boicottare, quello sta dappertutto! Rinunciamo noi alle cose che ci stanno a cuore per dargli un dispiacere?
    Mi rispose sul giornale Roversi (il “Turista per caso”, hai presente?) dicendo che insomma certe cose non le si può prendere proprio alla lettera. Tanti saluti.
    Così, che si fa? Non si può, sta dappertutto. Se ci riuscissimo, sarebbe utile? Il costo di privarci di voci, parole, immagini e visioni del mondo che troviamo vicine alle nostre, vale il danno (esiguo assai) che potremmo fare al Caimano? Tocca trovarne un’altra.
    E anche dalla parte degli autori, ho capito che quelli miracolati da Fazio, che potrebbero trovare tutti gli editori che vogliono, sono proprio pochi pochi. Gli altri bussano alle porte degli editori per pubblicare e se ne tornano a casa col manoscritto nella borsa. Ci conviene che tutti quelli che ci piacciono restino per la strada? Sarebbe coerente coi nostri princìpi? Sarebbe, appunto, utile?

  6. @ Massimo. Boicottare il cav. è in effetti cosa impossibile e anche poco utile, fosse possibile. Però. Però ci vogliono anche dei segnali, qualche presa di posizione, almeno delle scelte un po’ più meditate e ragionate. Ognuno può fare o non fare tutto questo, che sia un lettore, uno spettatore, un intellettuale. Ciascuno con diverse possibilità e diversi gradi di responsabilità. In questo senso, credo che Mancuso sia ammirevole, anche nella sua apparente ingenuità. Perché ha deciso di ragionare pubblicamente e di fare una scelta. Utile, inutile? Non importa, è la sua scelta e tanto basta. Gli altri faranno la loro scelta. Non so nemmeno dirti cosa farei io al loro posto. Troppo facile sarebbe fare l’eticamente corretto con le vite altrui. So che non compro libri Mondadori/Einaudi, se non per estrema necessità (pensa solo alla poesia del novecento!). Non è un boicottaggio, è che provo un moto di fastidio al pensiero di essere un cliente del cavaliere. Come hai ben detto, non serve a granché, ma mi fa stare meglio.

  7. Ma non lo tiene presente nessuno il fatto che Vito Mancuso PRIMA abbia firmato un contratto (che dicono essere di tutto rispetto) con l’editore Fazi per la curatela di una collana + alcuni futuri titoli suoi, e solo DOPO ha mandato la sua prima lettera a Repubblica? Che avesse già firmato con Fazi era talmente di pubblico dominio che la casa editrice ne aveva dato l’annuncio, però poi, nei giorni della “crisi di coscienza”, questo dettaglio è scomparso da tutti i giornali (da Repubblica in primis).
    Di chi è la casa editrice Fazi presso cui Mancuso ha traslocato? Del gruppo GEMS. Gruppo Editoriale Mauri Spagnol. Gli stessi che da diversi mesi a questa parte battagliano pubblicamente con Einaudi e non solo.
    Chiaramente non ci sono prove di questo, ma è lecito o no sospettare che la “crisi di coscienza” sia stata soprattutto un’abilissima mossa da ufficio marketing, di cui erano al corrente (come minimo) i “piani alti” di quel gruppo editoriale?
    Ancora: se è una questione etica tanto importante, come mai Mancuso non ha annullato il contratto del suo ultimo libro per Mondadori? Perchè avrebbe dovuto pagare una penale? Ma per una questione etica tanto profonda (e soprattutto per un autore noto e ben pagato), si può anche decidere di pagare la penale. Oppure il limone Mondadori va spremuto fino all’ultima goccia di (dirty) cash anche dopo che si è deciso di abbandonarlo? E se il problema è non far fare proventi a Mondadori, perché dargli un ultimo titolo?
    Ancora: argomento toccato anche da alcuni interventi segnalati qui sopra: Fazi non distribuisce i suoi libri nelle librerie della catena Mondadori? Se il problema di Mancuso è di non far fare proventi a Berlusconi grazie al suo lavoro, perché certi proventi vanno male e certi invece no?
    Attenzione alle crisi di coscienza a gettone (in tutti i sensi).

  8. @ Antonio. Quello che dici è vero, ma è solo una parte della questione. Mi sembrava (e mi sembra ancora) più interessante discutere del merito piuttosto che fare le pulci alle motivazioni nascoste, con ampio utilizzo del sospetto, peraltro. Non è con gli attacchi “personali” che si trova un senso di tutta la faccenda che abbia importanza, almeno per me. Se anche Mancuso fosse disonesto e furbo invece che onesto e ingenuo, il tema del rapporto tra scrittori, aziende e politica, resterebbe comunque degno di essere discusso, anche sulla base dello stimolo di tutti gli articoli che sono usciti nelle ultime settimane. Mancuso aveva solo bisogno di cambiare editore “col botto”? E allora? Quello che ne è seguito è comunque interessantissimo e importante. Una fiera di sofismi e ipocrisie, in gran parte. Un sintomo nemmeno troppo fastidioso (per alcuni) di una malattia molto contagiosa e forse inguaribile.

  9. ho letto con interesse ciò che hai scritto…questa vicenda che dal mio punto di vista lascia spazio a molte riflessioni…per questo ho fatto un video in cui le espongo

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