Succede che a un certo punto di un percorso (in cui cresci, studi, fai le tue esperienze, conosci, ti guardi intorno, ti lasci contaminare, contamini, incontri, volti pagina, saluti, parti, torni, vai, vieni, parli, ascolti, leggi, scrivi, guardi, ibridi, mescoli, connetti, intrecci), quello che hai capito lo metti in un libro che scrivi con un’altra persona (un’altra connessione, un’altra contaminazione).
Così riparti, porti in giro quel libro, ne parli con persone, torni, riparti ancora e un bel giorno la tua agenda ti dice che in una settimana partirai tre volte per portarlo in tre città diverse.
La prima è la città dove hai imparato quasi tutto quello che sai (e proprio nel luogo di quella città dove la storia è cominciata, e dove hai imparato quasi tutto quello che sai).
La seconda è la città dove tanti anni fa hai cominciato a lavorare e hai camminato disorientato col “Tuttocittà” in mano (e in provincia della quale vivi da allora).
La terza è la città dove sei nato e che un giorno è caduta, e proprio quel giorno aspettavi una telefonata da lì per andare a parlare del tuo libro e quella telefonata non è più arrivata e tu hai pensato “è solo rimandata”.
Sarò via qualche giorno, ci sentiamo alla fine del viaggio.

5 risposte a "Homecoming"

  1. A volte mi chiedo come sia la vita di quelli che nascono, vivono e muoiono nello stesso posto. Per quanto ci provi, non riesco proprio a immaginarlo. Buon viaggio e buon ritorno

  2. Hai fatto partire un pensiero che resta quasi sempre nascosto dentro di me, ma ogni tanto rispunta dolceamaro. Io so di non avere un dove tornare. Non c’è luogo di cui possa dire “questa è la mia città”. Sento forte l’appartenenza a luoghi che quasi non conosco, il sud di mio padre, un luogo virtuale che non esiste più e non significa più quello che significava per lui, e per me figlia di terrone e orgogliosa di esserlo. Torino è la mia città? Non mi ha amata e non l’ho amata, ma qui c’è la parte più vitale di me, la scuola che ho fondato e a cui ritorno, come oggi, dopo aver ancora condiviso con un gruppo di professionisti, con entusiasmo piacere e passione, il sapere che abbiamo costruito in questi anni. Forse il mio luogo è ovunque vivano o rivivano emozioni e sentimenti, la Sardegna dove vive mia figlia, la Bretagna dove vedo Giorgio felice, la mia “topaia” di Oneglia. Così vado e torno, ma non so mai se sto andando o tornando.

  3. Io credo che non si possa più tornare davvero nei luoghi dai quali ci si è allontanati. Preferisco pensare che li porto con me in una valigia mentale. A volte mi capita anche di tornarci fisicamente, ma i luoghi non sono più gli stessi, e io meno che mai! La Roma che ho lasciato a vent’anni per scappare dal troppo amore di una famiglia che mi avrebbe stritolato non è più quella, e io sono una donna matura ormai sufficientemente pacificata anche con quella famiglia. E che dire dalla mia amatissima Pavia, dove negli anni dell’università ho conosciuto le persone che ancora oggi sono in prima fila nella mia stanza degli affetti? Se tornassi a sedermi in riva al Ticino potrei forse riconoscermi solo nello scorrere delle sue acque, immutate e sempre diverse con il passare degli anni, esattamente come i miei pensieri. Accontentiamoci della nostra valigia, nella quale è comunque consentito sbirciare, ogni tanto…

  4. @ marina: …E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta. (T. S. Eliot, Quattro quartetti)
    @ Silvana: io ho raccontato spesso degli anni in cui al nord quando mi sentivano parlare mi domandavano “di dove sei?” e quando andavo giù mi dicevano “…ma come c… parli?”.

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