Faccio un giro nella zona per cercare parcheggio: entro in una traversa e identifico un posto fra due auto al lato destro della strada. Parcheggerò in retromarcia, fra una coupè lucida e nera e una Uno blu scorticata. Do una rapida occhiata: lo spazio è piccolo, ma dovrei averne a sufficienza. La mia vettura non è lunga e il posteggio in retromarcia era il mio cavallo di battaglia alla scuola guida.
Dunque affianco la coupè, guardo nel retrovisore esterno la Uno e sterzo a destra. Retromarcia.
Dal palazzo dall’altra parte della strada (un condominio abitato in gran parte da immigrati) esce un signore. Indiano, mi pare.  Osserva preoccupato le mie manovre. Ah, ho capito: teme che gli urti l’auto. Faccio un cenno di saluto che vuol dire “non si preoccupi, ci sto attento”.
Ora sono fra le due macchine e guardo ancora nel retrovisore la Uno arrugginita per essere sicuro di non sfiorarla mentre mi faccio posto. Dal finestrino indirizzo all’uomo un altro cenno per dire “tutto ok, non si è fatta niente”.
Nel frattempo è uscita anche la moglie, che mi guarda atterrita muovermi avanti e indietro in quei pochi centimetri, per completare la manovra e mettermi non troppo distante dal muro a destra: giusto in linea con la coupè davanti e la Uno dietro. “Niente paura”, dico con un gesto anche alla donna. È vero, ci sto dentro per pochissimo, ma basta un po’ di attenzione.
Lei continua a fissarmi, è sempre più spaventata, l’ha raggiunta anche il bambino: capisco quanto sia importante quella vecchia auto per l’organizzazione loro e dei figli, ma quest’ansia comincia a sembrami davvero eccessiva.
Guardo ancora il retrovisore. Di solito aspetto di sentire il “tuc” del mio paraurti posteriore contro l’anteriore della macchina posteggiata dietro per prendere le misure; ma stavolta meglio evitare, mi stanno guardando, misurerò la distanza dalla Uno facendo bene attenzione a quel che vedo nello specchietto e con tutta la cautela di cui sono capace.
Ecco qua: due centimetri avanti, sterzo a destra, retromarcia. Sinistra, retromarcia. Fatto. Dopo un po’ di sterzi e controsterzi sono alla giusta distanza dalla coupè e dalla Uno, nessuno si è fatto male.
Spengo il motore, apro il mio sportello per uscire. L’indiano intanto ha attraversato la strada e si sta avvicinando con le chiavi della sua auto: evidentemente, pensando che prima o poi dovrò fare la manovra al contrario per tornarmene da dove sono venuto, intende spostare la sua Uno. Diffidente.
Scendo, indico la vettura alle mie spalle e faccio per dirgli: “visto? Tutto a posto”, ma non faccio in tempo a cominciare la frase. L’uomo sale sulla coupè, accende il motore e rombando la sposta un metro avanti.

4 risposte a "Quella macchina là."

  1. A volte ho la sensazione che i pregiudizi siano qualcosa che ci sta attaccato ai pensieri senza neppure che ce ne accorgiamo. Scrivere dei propri pregiudizi è già molto meglio che averli e basta!
    PS Ma tu che macchina hai? la mia avrebbe sfigurato alla grande nel confronto…:-)

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