Trentatré minatori cileni risalgono dal buco che per settanta giorni è stato la loro casa. Mezzo mondo ha seguito la loro vicenda, il piano per salvarli, l’attesa della risalita e infine l’epilogo. Uno alla volta son tornati alla luce del sole, insieme a medici e soccorritori che si erano calati volontariamente per organizzare il ritorno nel mondo di sopra.
Tutti abbiamo, con varie gradazioni di intensità e coinvolgimento, partecipato e trepidato, anche con sincera commozione. O no?

Qualche settimana fa lo psicoanalista Luigi Zoja intervenne su L’Unità per annunciare: il prossimo è morto. Il comandamento evangelico prescriveva di amare Dio e il prossimo: ma il primo lo ha fatto fuori Nietzsche alla fine del diciannovesimo secolo, e ora il Novecento si è portato nella tomba anche il secondo.
Le relazioni odierne non conoscono più prossimità. Il colpevole? Non dite che non ci avete pensato: il computer.
Mi sono comprato allora La morte del prossimo, il saggio breve pubblicato per Einaudi nel quale Zoja sviluppa il suo pensiero al riguardo.
La questione che pone è: ci può essere amore in una cultura che ha bandito la vicinanza fisica, in cui le persone sono distanti e comunicano con la mediazione della tecnologia? C’è vera prossimità dove i mezzi di riproduzione ti danno l’illusione di essere vicino a persone che non conosci nemmeno? Non è forse il “prossimo”, come dice la parola stessa, quello che sta “immediatamente vicino a te”?

Già qualche anno fa Zoja allarmava i suoi lettori sulla scomparsa del padre. Veniva però il sospetto che quello che stava scomparendo fosse non il padre e basta, ma un certo modello di padre, quello che magari, legittimamente, stava a cuore all’autore. Anzi: che venisse meno l’esclusività di quel modello, la sua preponderanza fra altri modelli possibili.
Un dubbio simile emerge dalla lettura di questa orazione funebre al prossimo. Perché va bene che qualunque variante di “non è più come una volta” qualche consenso lo strappa a prescindere; va bene anche che il nero snellisce; ma non sarà che questo gusto macabro per gli estremi addii comporta certe volte il rischio di tumulazioni un po’ avventate, senza nemmeno darsi pena di prendere il polso del cadavere?

Io trovo utile pensare che l’internet, la tecnologia e le comunicazioni a distanza ci hanno reso evidente quello che già sapevamo ma forse non era così ovvio: e cioè che viviamo le nostre relazioni a vari gradi di prossimità (non ci sono “vicini” e “lontani”: ma vicinissimi, vicini, quasi vicini, lontanucci, lontani, lontanissimi…), e che ciascuno di questi gradi rappresenta un’esperienza diversa e a suo modo rilevante.
Oggi, accanto alle relazioni in carne e ossa, abbiamo amici nel virtuale (un tempo avevamo l'”amico di penna”), con cui sperimentiamo vicinanze diverse. Alcuni di quelli sono persone con cui sarebbe stato difficile mantenere relazioni quotidiane (nel mondo globalizzato che preoccupa Zoja le persone vivono talvolta in posti differenti da quello dove sono nate). A volte quegli amici vivono contemporaneamente nel mondo virtuale e in quello in cui puoi abbracciarli e offrirgli una birra: li ritrovi quando la vita lo permette, o li vai a cercare proprio perché li hai frequentati per un po’ nel mondo immateriale.
Chiedete in giro se non c’è qualcuno a cui sia capitato di sperimentare un momento di profonda prossimità con un amico virtuale. Domandate, per esempio, a tante persone dell’Aquila quale opportunità di prossimità abbia rappresentato in certi momenti dell’ultimo anno e mezzo la comunicazione via internet e via social network. Domandate quante di loro si sarebbero sentite più sole se il web non avesse offerto loro una opportunità di far arrivare lontano la propria voce e, soprattutto, di saperla ascoltata da qualcuno.

C’è chi lascia una moneta o una banconota nel cappello di un uomo seduto sul marciapiede, di cui dimenticherà l’esistenza subito dopo. C’è chi decide di dare a chi ha bisogno di aiuto il proprio tempo e le proprie energie. C’è chi fa un bonifico mensile per far campare meglio un bambino lontano che probabilmente non vedrà mai, e col quale spesso ha un legame solo nominale (talvolta attenderà una letterina, o la sua pagella, una sua foto per pensarlo reale e concreto). Distanza e prossimità cortocircuitano: eppure chi si sentirebbe di bollare questa pratica come conseguenza della disgregazione dei rapporti?
Possiamo vivere con angoscia la storia di una quindicenne trucidata da un congiunto (se non abbiamo una figlia quindicenne, tutti comunque siamo stati quindicenni). Persino a volte ci appassioniamo alla vicenda di un gruppo di minatori che restano intrappolati sotto terra. Non ne conosciamo i nomi, non sappiamo nulla delle loro storie, ma non importa: sarà capitato, qualche volta, di sentirci anche noi caduti in un buco e di sperare che gli altri non si dimenticassero di noi. Oppure di viverlo nei nostri sogni peggiori. Tornato a casa l’ultimo di quegli uomini, ce ne ricorderemo solo quando uscirà il film su di loro, di cui a Hollywood qualche artista a gettone sta già scrivendo la sceneggiatura. Per quei trentatré sarebbe stata la stessa cosa se non lo avesse saputo nessuno?
Fosse accaduto a uno dei nostri amici, avremmo trepidato per una persona in carne ed ossa che immaginavamo tremare di paura e che avremmo voluto incoraggiare, o andare a recuperare con le nostre mani.
Certo, gli stessi giornali che ci portano in casa quella storia ci raccontano magari della vecchietta del nostro pianerottolo che era morta da una settimana nel suo appartamento e nessuno la cercava. Mettere le due questioni in qualche meccanica relazione diretta, però, appare più suggestivo che rivelatore di qualcosa.

Quello che dico significa che la questione di come i nuovi mezzi di comunicazione definiscano distanze e vicinanze è futile? Per niente.
In rete trovate interessanti punti di vista, ad esempio, sul modo in cui i media trasformano persone in personaggi e le trasfigurano in simboli; l’indefessa pratica del clic finisce per sostituire l’impegno e per regalare l’illusione di poter dire la propria ad alta voce. Vedi la vicenda di Sakineh, che da noi si è guadagnata (oltre a quel vezzoso accento sulla “e” che le conferisce quell’aria esotica da principessa disneyana) la compulsione di migliaia di cliccatori che dell’Iran sanno poco o niente.
Allora, che strano tipo di democrazia è quello in cui la libertà di clic tende a sostituire la profonda assunzione di responsabilità che comporta la libertà di parola (di una parola pronunciata mettendoci la faccia, per giunta)?
Ecco: si può sentire urgenti e ineludibili tutte queste cosucce prendendosi a cuore il tempo in cui accadono, invece di metterlo a confronto con un passato in cui (ma va?) le cose andavano diversamente?

9 risposte a "Avanti il Prossimo"

  1. Questo tuo post è in sintonia con il mio di oggi – nato dalla stessa fatica che penso provi tu, nel relazionarsi con gli analisti di altra generazione, la maggior parte dei quali, onestamente della rete non ha capito una sega.
    Zoja non è eccezionale. Ad altri, quando ho alluso al fatto di avere un blog si è palesato un coccolone diagnostico sul volto. E’ come se il soggetto a cui fino a un momento prima avevano imputato una notevole complessità, appena prende il computer in mano regredisse a uno stato di testadicazzeria improvvisa – che alternativamente scivola o nella cattiveria (ho una pagina su FB, ergo sono sicuramente uno stupratore) o nella idiozia conclamata (faccio amicizia con uno su FB e non mi accorgo che è uno stupratore).
    La verità è che si sottovaluta – scientificamente e clinicamente – il medium del mezzo linguistico. La scrittura di rete è l’epifenomeno informatico della comunicazione reale. E internet è il contrario della terra della finzione – ma è la terra della rinarrazione di se, dove le menzogne se ci sono sono epidermiche – perchè scrivere mentendo su di se, è in realtà operazione che esige un controllo e una consapevolezza e una tenacia che appartengono a pochi.
    L’esperienza che molto contribuisce a capire questo è che, quando si incontrano dal vivo i propri amici virtuali, si rimane amici, si ha una sensazione di contiunuità, di poca sorpresa.
    Vabbè me fermo:)

  2. Carissimi Max e Zauberei: non fermatevi! Andate avanti ad esprimervi e ad approfondire il tema: è molto interessante e stimolante seguirvi! Sapeste quanto condivido!

    Grazie grazie, simonetta (vorrei dire di più…………….magari ci penso un po’ e poi ritorno!)

  3. Ciao, vi dirò che a un certo punto avevo deciso di non scrivere più post (dopo questo) a proposito dei pregiudizi sui social network e sulla rete.
    Si rischia di ripetersi e di seguire il gioco della polemica trita e sempre uguale. Piuttosto si contribuisce a una decente cultura della rete continuando a fare meglio che si può quello che facciamo, provando a fare cose utili se si riesce, creative se si può, intelligenti almeno. Le critiche superficiali passano e non lasciano traccia.
    La posizione di Zoja, però, reclamava una riflessione: magari solo perché meno sguaiata di altre; o magari perché secondo me indicativa di qualcosa.
    Non so, Zauberei, se sia un problema degli “analisti di altra generazione” (sebbene trovo che sia diffuso in alcune aree più o meno identificabili della nostra psicoanalisi): ma si può sapere quando è successo che la psicologia “popolare” (non nel senso della “folk psychology”, ma proprio nel senso di quegli autori che hanno un certo riscontro commerciale) ha scelto di di diventare uno sguardo moralista e musone sul presente anziché provare a comprenderlo con un po’ di curiosità?
    Mi capita di andare in giro ogni tanto a dire la mia su queste cose, mi invitano a parlare di virtuale e relazioni fra le persone, di internet e diritti umani, di rete e informazione, di internet nelle tragedie della gente. Ci si confronta sui tanti modi in cui la comunicazione può migliorare un po’ la vita alle persone in carne e ossa. Poi leggo critiche così e vedo che tutto quello che succede lì fuori sparisce, non esiste. Trovi una totale mancanza di curiosità su simili questioni e forse sì, una definitiva rinuncia a comprendere quello che succede intorno.
    Zauberei, mi piace molto quello che dici sulla finzione in Internet. Aggiungo che la sovrapposizione di “virtuale” a “fasullo, finto, irreale” è stantia e superficiale.
    P.S.: Simonetta, niente paura 😉

  4. Massimo io detesto combatto e odio, non solo la psicologia popolare, che non ha mai cominciato a essere reazionaria e musona, ci è nata proprio. Bisognerebbe interdirla.
    Per il resto le polemiche mi interessano poco. Mi interessa far capire anche al mio – finalmente! – contesto professionale l’uso di un mezzo e le sue varie valenze, positive o negative che siano.
    La scrittura di rete, per esempio aiuta a compattare chi è un tantino scompattato. Ma questo è un altro post:)

  5. mi avete appassionato e non mi intendo di psicanalisi o cose simili.
    Quello che so è che forse, banalmente uno strumento vale per come viene usato. Internet e i social network possono essere per tanti il rifugio dal mondo vero, per altri aiutano a combattere la solitudine, per molti un altro modo di stare con la gente…
    Che ne sapevano Einstein e gli altri, di che uso si sarebbe fatto delle scoperte sulla divisione dell’atomo?
    Certo è che chi si interroga sulle relazioni tra le persone, sui nuovi modi di comunicare non può tralasciare l’incredibile potenza di questo mezzo e di come probabilmente cambierà non solo il modo con cui le persone interagiscono tra di loro ma anche l’essenza stessa delle relazioni possibili tra gli individui. Vero è che la rivoluzione delle relazioni è già in corso…

  6. Ivana, viviamo nel secolo delle paure.
    Internet ridisegna confini, in un tempo in cui come in pochi altri momenti si sente necessario marcare i confini; ridefinisce le distanze, mentre si allarga il bisogno di stringersi gli uni agli altri, fra simili; riconfigura i ruoli, proprio mentre il bisogno di autorità e di gerarchia si fa più forte.
    Così, davanti a una cosa nuova ci si può domandare come fare per minimizzarne l’effetto, o ci si può domandare come cambiare le nostre mappe del mondo per comprenderla e farne una cosa utile per le nostre vite: e il primo atteggiamento è piuttosto diffuso…
    Ciao, torna! 😉

  7. Trovo questo tema molto interessante, per nulla scontato e banale…Anzi: penso che occorrano ulteriori spazi di approfondimento e allargamento.
    Ecco perchè ritorno di nuovo qui, sebbene a distanza.
    Concordo con Zoja, per certi aspetti, sulla questione che “il prossimo è morto”: è vero anche per me che la vicinanza, l’intimità, l’autenticità tra le persone sono sempre più “bandite” e oserei dire temute e ostacolate. Lo stare in relazione è difficile, oggi giorno, anche dal mio punto di vista. Ma contrariamente a Zoja, ritengo che ciò non sia da imputare all’uso abuso dei mezzi tecnologici, dei social network. Anzi, per certi versi, ritengo che sia vero il contrario: che la comunicazione tramite internet, tramite la rete, sia semmai un effetto della difficoltà a relazionarsi, a comunicare, nella realtà. In questo senso credo che i social network siano una possibilità positiva, uno strumento per facilitare i contatti, le relazioni. Uno strumento che può agevolare la messa in contatto di parti di sè che nella realtà non sempre hanno la possibilità di essere viste, riconosciute, accolte, legittimate.
    Per questo è uno strumento da non sottovalutare, da conoscere bene, da non banalizzare e da impiegare bene(questo si). Mi piace quindi la considerazione di Zauberei: “La scrittura di rete è l’epifenomeno informatico della comunicazione reale”, più che terra di finzione.
    Chi si occupa di relazioni anche a livello professionale, a mio parere dovrebbe accostarsi con meno scetticismo e diffidenza, rispetto a quanto invece spesso avviene,approfondendo la conoscenza di certi mezzi comunicativi che stanno integrandosi sempre più velocemente nella quotidianità di tutti, sviluppando interazioni concrete e reali con essa (e provocando in questi modi effetti su cui bisognerebbe soffermarsi a riflettere e approfondire).
    Personalmente ho deciso di iscrivermi ad FB dopo non poche titubanze iniziali, soprattutto per pregiudizi collegati alla gestione del mio ruolo professionale (sono appunto una cosiddetta “operatrice della relazione”) e co-costruiti insieme a colleghi che frequento abitualmente nella mia attività lavorativa. Sembra davvero un’idea diffusa in ambito psico-sociale che iscriversi ad un social network leda l’immagine professionale (le persone che si iscrivono sarebbero poco serie) con ricadute sulla relazione con i clienti/utenti (come se, “diventare una persona come tutte le altre”, abbattesse i confini legati al ruolo professionale esercitato?)…..Cosa su cui mi sono soffermata in effetti a riflettere e che mi ha trattenuta….Fino a quando la mia curiosità e la voglia di “sentirmi una persona come tutte le altre”, appunto (pur con le sue caratteristiche, ad esempio professionali), non l’hanno avuta vinta e ho deciso di iscrivermi.
    Io sono molto contenta della mia scelta: Fb per me è tutto sommato un contesto di condivisione e appartenenza, dove dò spazio effettivo ad alcune parti di me e che mi dà la sensazione di essere connessa in qualche modo al mondo e soprattutto che mi fa sperimentare forme di apprendimento con un’incredibile immediatezza e con l’idea di partecipare alla costruzione di un tessuto….
    Purtroppo anch’io, quando rivelo ai miei colleghi la mia “appartenenza”, noto sguardi tra il divertito e il compassionevole che a volte si trasformano in affermazioni: “Se mi dovessi sentire sola, non mi iscriverei mai ad un social network!”…..Ma devo dire che questi atteggiamenti fanno scattare – in modo perfettamente simmetrico – il mio sguardo divertito e compassionevole verso di loro: hanno solo bisogno di tempo! Le novità spesso spaventano!
    E quindi procedo nella mia attuale realtà lavorativa, spesso….in solitudine rispetto a questo argomento….Ma per fortuna, ciò che guadagno dalla mia frequentazione del contesto virtuale, supera di gran lunga questo svantaggio: ho intercettato persone che ora frequento con piacere nella realtà, comunico con più agilità con chi volevo rimanere in contatto, ma per motivi di tempi risicati spesso perdevo di vista (incredibile, ma vero: persino con mio fratello e mia sorella!), conosco “nuove” persone che vivono in luoghi distanti, ma molto affini a me…..E…non da ultimo…Mi succede di essere ricercata anche da coetanei di mio figlio (età adolescenziale) che, oltre a farmi un mare di piacere mi interrogano sul tipo di contatto che ricercano oggi i ragazzi con gli adulti…….Insomma….Quante cose da dire!
    E infine, come professionista, credo di potermi permettere di affrontare l’argomento “social network” con i miei utenti/ clienti, qualora facesse parte della loro esperienza, visto che è un’esperienza che condivido pure io…Insomma….Spero che si riesca ad andare al di là della diatriba: “social network bene/male” a vantaggio di approfondimenti e studi seri sul tema di cui secondo me c’è un grande, grande bisogno. Evidentemente non ho aggiunto particolari novità a questo dibattito, ma avevo una gran voglia di esprimermi!
    Grazie per questo spazio, Max!
    simonetta

  8. Ciao Simonetta, vedi qual è la differenza? Tu parli del tuo rapporto con la rete e i suoi “luoghi”, della tua esplorazione e della curiosità con cui ci sei entrata e hai guardato dispiegarsi gli affetti del tuo rapporto con essa.
    Nei giorni scorsi in rete quel vecchio provocatore di Franco “Bifo” Berardi accusava Facebook di essere “un ordigno totalitario destinato a distruggere l’empatia” Discutendone su Facebook mi segnalano un articolo di Marturano e Bellucci che pone anch’esso dei problemi seri.
    Continuamente discutiamo in rete degli aspetti etici e politici dell’iscrizione a Facebook, tanto che sta per nascere un nuovo social network senza proprietari che risponde proprio all’esigenza di avere strumenti più liberi e democratici.
    Attualmente sto leggendo il libro di Jaron Lanier “Tu non sei un gadget”, sui rischi della cultura digitale: lo scrive un protagonista dello sviluppo della rete.
    Insomma: le critiche possibili a internet sono tante e i problemi da porre pure, molti ancora sconosciuti. Molti dei critici sono gente che guarda alla rete con sufficienza e dall’esterno. Altri sono persone che la rete la conoscono. Alcune critiche sono moralistiche, altre aperte e curiose.
    Come dici tu, sarebbe bello poter superare le discussioni del tipo “bbuono / no bbuono” per capire questa risorsa, che non è data “a priori”: non è quello che è e basta. E’ quello che ne facciamo io, tu, gli altri, Zoja.
    Grazie a te, a presto.

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