Ho passato alcune ore a L’Aquila dopo Natale. Ogni tanto mi capita di andare a occuparmi di cose di famiglia e di faccende da risolvere in quella città, e stavolta ho colto l’occasione di alcuni giorni di pausa dal lavoro per fare un salto. Avevo poco più di un’oretta libera dagli impegni che mi avevano portato lì, e ho pensato di utilizzarla per fare un salto in centro a comprarmi una piccola scorta di torrone. Fra parentesi: il torrone di lì è di una bontà smodata, e secondo me – anzi, non solo secondo me – batte di gran lunga le capitali riconosciute del torrone. Ma, come altre cose eccellenti che quella città produce e ha prodotto, c’è qualche ragione per cui non si deve dire tanto in giro. Vedi mai che arrivino da qualche altra parte a mangiarselo o, il cielo non voglia, a comprarsene un mezzo chilo. Cammino lungo la piazza davanti alla Basilica di San Bernardino e noto che fra le transenne che dall’aprile del 2009 isolano la chiesa dai passanti c’è un varco. Toh! Alzo lo sguardo e sulla gradinata ci sono cinque o sei persone intorno a una ragazza bionda che sembra avere un’idea di cosa accade.

Com’era. Foto di Luigi Colamarino da fotografieitalia.it

“Ma si può entrare?”, grido aspettandomi che mi dicano vada via, non lo sa che qua dentro c’è un finimondo? Invece no. “È qui per la visita?”, mi fa la ragazza bionda. “La visita? No, dicevo se posso dare un’occhiata dopo tre anni che non entro”. Fra parentesi: la Basilica, che fu edificata nella seconda metà del 1400 e poi in parte ricostruita dopo il terremoto del 1703, è una delle chiese più belle d’Italia. Ma, come altre cose eccellenti che quella città produce e ha prodotto, c’è qualche ragione per cui non si deve dire tanto in giro. Vedi mai che arrivino da qualche altra parte a godersela e a fotografarla. Entro fra le transenne e vado verso il gruppetto in cima alla gradinata. “Stiamo per iniziare una visita guidata al soffitto, io sono la guida”, mi dice. Il soffitto? Me lo ricordo, il soffitto ligneo di Cenatiempo, uno spettacolo. Lo stanno restaurando? “I lavori sono finanziati dalla Fondazione Cassa di Risparmio dell’Aquila, andranno avanti fino alla fine di febbraio 2012. Organizziamo visite al cantiere per tutto il periodo delle Feste”. “Oh… fantastico. Non lo sapevo. Quanto dura?”. “Fra mezz’ora siamo di nuovo giù”. Ho i miei impegni che attendono ma sì, una mezz’ora ce l’ho. Il gruppo aspetta un cameraman di una televisione, approfitto dell’attesa per entrare da solo nel grande portone. Nella penombra cupa che mi accoglie non trovo più i riflessi dell’oro zecchino e dei marmi e i giochi di luce. La sola fonte luminosa è uno schermo sullo sfondo, che nasconde l’altare e l’abside per mostrare le immagini delle mani dei restauratori all’opera, le dita che si muovono rispettose ma sicure sul legno. Un altoparlante swinga canzoni natalizie. Le colonne poderose della navata centrale sono quasi nascoste dall’intreccio di tubi e snodi. Sopra, a destra, a sinistra, enormi impalcature. Avanzo nel buio respirando profondo. Il mio sguardo cerca di farsi strada fra i tubi e l’oscurità per intravedere i bassorilievi sul caratteristico fondo blu di Andrea Della Robbia. Difficile. Altre opere sembra siano state asportate dalle loro sedi: o saranno cadute? Scatto qualche foto col cellulare. Arriva la nostra guida alla testa del gruppo, mi fa un segno. Niente foto lassù, concordiamo. Prendiamo un caschetto protettivo ciascuno e saliamo su un ascensore aperto che ci porta non so quanti metri più su. Quattro gradini ancora e mi trovo su un grande soppalco, ampio quanto la navata centrale, che nasconde quel che c’è giù e sul quale camminiamo come su un pavimento. Lo straordinario soffitto di legno, quello che guardavamo da giù a bocca aperta, ce l’ho a tre centimetri dal naso. Tanto che ci muoviamo chini per non urtare il legno lavorato secoli fa. La guida ci racconta la storia nota da sempre e quella che è venuta alla luce ora, dalle infiltrazioni di umidità: non è il terremoto l’unico guaio da risolvere. Prima di quello, le tecniche antiquate di conservazione avevano provocato, o non erano riuscite a guarire, ferite che oggi non possono più aspettare.

‘Niente foto lassù!’: questa viene da beniculturali.it

I differenti tiraggi delle tavole del soffitto hanno provocato sconnessioni e aperto passaggi all’acqua piovana. Eserciti di tarli hanno approfittato della situazione. Colori passati su quelli antichi secondo criteri oggi superati pongono problemi di difficile soluzione: ho capito che restaurare è anche fare continuamente scelte e assumersene la responsabilità. La verità è quella che abbiamo lì davanti agli occhi: muffa, fori, crepe, rotture, colori sbagliati; ogni tentativo di modificarla, anche per il suo bene, è un bugia. La domanda a cui rispondere ogni volta è: qual è la bugia meno bugiarda?

Foto da Ilcapoluogo.it

Al centro del soffitto c’è il grande sole con al centro il cristogramma “IHS”: è il simbolo che accompagna la storia di Bernardino da Siena: intorno a quello, uno sfondo di puntini in rilievo. La guida ci spiega che quei puntini sono ceci della piana del Fucino: a connettere quel che sta qua sopra con quel che cresce là sotto; il sacro alla terra; e l’arte ai propri luoghi. Ci mostra una scatolina con un certo numero di ceci freschi che sostituiranno quelli vecchi. Osservo da vicino il lavoro delle restauratrici (tutte donne) che fanno iniezioni contro i tarli e maneggiano vasetti di liquidi trasparenti. Tutte con le tute bianche e la sciarpa attorno al collo: fa un freddo cane, a restare seduti qui tutto il tempo.
A spasso quassù sembra di camminare in una specie di modo parallelo dove vigono regole diverse e dove sono diversi anche gli ordini di grandezza, le proporzioni delle cose. Qui ogni millimetro di legno, di colore, di storia viene maneggiato come se non ci fosse nulla di più prezioso nell’universo. Fuori, a poca distanza, tutto è in fondo soltanto una città che va in polvere. Ci sono guai peggiori. E forse è vero.

Ancora da beniculturali.it

Il giro finisce. L’ascensore ci riporta laggiù, restituiamo il caschetto, ringraziamo la guida e torniamo alla luce.

Clicca per ingrandire: ecco come appariva

Se vi capita di passare da quelle parti, avete ancora pochi giorni: ma andateci. Fatevi questo regalo. Fate un salto lassù. Provate a guardare le cose da là sopra. Fate un giro dove l’infinitamente piccolo ha un valore incommensurabile. Guardate le mani di quelle professioniste e pensate che altri, tanti anni prima, e tanti prima ancora, si prendevano cura di quei legni e di quei colori. Provate a immaginare che c’è stato un momento in cui altri li hanno osservati da così vicino e hanno scosso il capo con la stessa preoccupazione che l’altra mattina animava noi che eravamo lì. Così, tanto per concedervi uno sguardo da una prospettiva diversa. Tanti auguri.

8 risposte a "Regalo di Natale"

  1. Ci andrò sicuramente, e l’ho già detto a mio figlio che verrà apposta da Pescara il 2 per andarci. Io però collego questa scena ad un’altra dell’inverno 2008/2009. Passavo spesso in quelle mattine da Via S. Maria Paganica e quindi vedevo il cantiere di restauro della Chiesa di Santa Maria Paganica, qualche volta entravo nel bar li vicino e ci icrociavo infreddolite ragazze sapienti restauratrici, che stavano riportando agli antichi splendori le pareti esterne e minuziosamente ripulivano le pietre dai danni del tempo e dell’incuria. Mesi di lavori.. in poco più di mezzo minuto andati in fumo, o meglio sbriciolati con l’intera chiesa. Il particolare ed il generale, l’infinitamente piccolo e prezioso, l’eccellenza ed il sistema che regge tutto questo. Tante piccole eccellenze da te rilevate nella nota e a volte veri e propri tesori non portano vantaggio alla collettività e, non resistono nel tempo, se non esiste un sistema che li protegge, li valorizza e li fa diventare patrimonio della collettività.. nel senso che deve essere capace di inserirli nel DNA di ogni individuo che della collettività fa parte. Ma questo presuppone una forma mentale ed una cultura specifica e purtroppo questa caratteristica L’Aquila e, più in generale l’Abruzzo, non ce l’hanno. Non c’è una cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità e quindi il sistema turistico è abbastanza scadente.. non esiste una mentalità della promozione e del marketing ed allora la promozione raccoglie scarsi frutti, è assolutamente carente lo spirito associativo e quindi le imprese e gli operatori sono piccoli e frammentati e soccombono di fronte alle logiche di mercato e si guarda molto spesso all’apparenza e non alla sostanza dei fatti. Quindi ti ritrovi bellissime montagne e panorami mozzafiato in territori sconsolatamente vuoti e privi di qualsiasi parvenza di servizio per quel malcapitato viandande che si trovasse da quelle parti. tanto è.. e purtroppo il terremoto a mio parere sta acuendo questi gup, invece di far prendere coscienza che invece esiste una opportunità unica per invertire la rotta. AUGURI A TUTTI GLI ABRUZZESI DI BUONA VOLONTA’ E CHE TROVINO FINALMENTE IL CORAGGIO DI DIRE PANE AL PANE E VINO AL VINO.

  2. Mi capita di parlare con persone – informate, attente – che mi dicono “io ho scoperto col terremoto che L’Aquila era una città d’arte. Chi ci pensava, prima?”.
    Come dico dall’indomani: e se fosse capitato a un’altra città d’arte? Le cose sarebbero andate allo stesso modo? O non avrebbe provveduto il resto del mondo a impedire le ulteriori ferite e l’abbandono?
    Auguri, Scipione!

  3. Ho deciso che nel 2012 voglio andare a conoscere l’Aquila, perciò incomincio a segnare questa perla nel taccuino di viaggio. Grazie!

  4. Caro Massimo è il cane che si morde la coda. L’aiuto in un certo senso bisogna meritarselo. Non basta avere i monumenti e le piazze più belle per essere conosciuti ed apprezzati, così come non basta avere il mare bello e le spiagge per diventare mete di turismo balneare. Ti sei chiesto come mai.. personalità di altissimo livello che hanno conosciuto e visitato L’Aquila in occasione del terremoto non siano poi presenti e coinvolti nella fase di progettazione e ricostruzione.? In altre realtà avrebbero trovato spazi, tempi e modi. Penso che a Renzo Piano e ai suoi collaboratori (per citarne uno) è bastato stare 15 minuti con i fidi collaboratori di Don Circostanza per capire l’antifona e dedicarsi a fare altro. Il progetto di un auditorium lo farà perchè gli è stato commissionato dai donatori.. ma niente di più e ti dico che non ha nessuna voglia di tornare a L’Aquila. Questo è, bisogna guardare alla realtà. Auguri a te professore paccuto.

  5. Marina: considera che a fine febbraio / inizio marzo chiuderà il cantiere del soffitto. Dopo (non so bene quanto dopo) inizieranno i lavori di restauro della basilica. Da quel che ho visto da lassù (il punto dove il soffitto fa angolo con la facciata) le cose sono serie. Non so quanto tempo sarà necessario. Metti in conto che potresti trovarla chiusa e impacchettata…
    Però sì, comunque vai, andate. Fotografate.
    Scipione: non so se è questione di meriti, ma che la città non abbia mai amato farsi notare è un fatto. Sarà gelosia per le proprie bellezze, sarà chiusura, provincialismo, sarà quel che vuoi, ma l’agonia della città comincia proprio da lì.
    Per chi passasse di qui ignaro di dialetti abruzzesi; paccuto: clicca qui; grazie a Scipione per l’opportunità 😉

    1. Sto pensando di fare un rapido “giro d’Italia” per andare a trovare diverse persone, alcune magari amiche da tempo, altre conosciute solo virtualmente, con le quali si continua a dire “dai, troviamoci prima o poi” e poi non lo si fa mai. Una di queste persone è Luisa Nardecchia, conosciuta appunto su FB, così avrei l’occasione di vedere l’Aquila. Se riesco a mettere in atto questo progetto sarà per l’inizio della primavera, fine marzo. Comunque nel caso ti chiederò indicazioni più precise alla vigilia della partenza.

  6. Sarebbe il massimo (oops!), partire in due dalla Lombardia per trovarsi in Abruzzo… A volte leggo che sei a Milano, ma per eventi troppo specialistici per il mio raggio d’azione per cui non mi sono mai palesata, però prima o poi dobbiamo incontrarci!

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